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 Intervento di Renata Natili, Responsabile organizzativa del Centro Studi Ezio Vanoni

La presente pubblicazione contiene le relazioni tenute nell’ambito del Seminario di studio organizzato dal Centro Studi sociali “Ezio Vanoni” che si è svolto a Terni il giorno 23 mag­gio 2008.

Il seminario, articolato in 4 relazioni coordinate dal gior­nalista Adriano Marinensi, ha sviluppato il tema “La politica come obbligazione. Per una visione alta della politica” pren­dendo le mosse dal ricordo di Beniamino Andreatta la cui “straordinaria presenza umana ha gettato semi e lasciato trac­ce in chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarlo anche una sola volta”[1]. A qualcuno piaceva definirlo il “calvinista” per risaltarne la “anomalia” nel panorama politico a causa del rigo­re, del disinteresse, della vivacità culturale, dell’impegno col quale ha svolto il suo compito nell’insegnamento, nelle ricer­che, nelle decisioni.

Un innovatore, certamente, in politica ed in economia, che ha pagato lo scarto «tra la sua visione, la genialità nell’affrontare i problemi, e i risultati concreti di quell’azione istituzio­nale, spesso parziali o addirittura nulli, almeno nell’immedia­to»[2] e che si sono poi concretizzati, magari in modo imperfet­to, negli anni successivi.

Perché, non è facile predicare il rigore, quando invece la realtà corre verso il consumismo; non è facile mostrare la coe­renza dei comportamenti pubblici e privati, quando la discontinuità tra il dire ed il fare è affermata come capacità di ade­guarsi alla realtà; non è facile proporre la costanza dei propri convincimenti, stigmatizzata come “ottusità”, quando l’inversione di rotta rispetto ad essi è segnalata come intelligenza.

Ancora nel presente siamo testimoni di una stagione della politica nella quale sembra essere venuto meno, secondo la testimonianza di Pietro Scoppola, «quel tessuto etico di cui le democrazie hanno sempre più bisogno»[3] o, per continuare con B. Andreatta, siamo in una fase nella quale: «è tutto un mec­canismo di consenso socio-politico che viene messo in forse dallo smottamento della sua base economica [...], il meccani­smo di aggregazione sociale e di rappresentanza politica che si è costruito nelle democrazie occidentali negli ultimi trent’an­ni, è semplicemente inadeguato a controllare gli attriti di una società a somma zero»[4].

Il tema del seminario, dunque, non nasconde l’ambizione di voler ricentrare l’attività del Centro Studi sui temi della politica o sulla politica tout court la cui attività rientra, secon­do una suggestione che ci viene da Simone Weil, nell’ambito del concetto di “obbligazione”. Per questa “amante dell’impos­sibile”, «la nozione d’obbligazione prevale su quella di diritto, che le è subordinata e relativa [...]. Infatti un uomo, conside­rato in se stesso, ha soltanto dei doveri, tra cui si trovano certi doveri verso se stesso»[5].

Tra questi “certi doveri”, la Weil esalta quello della “partecipazione” in quanto «un essere umano ha una radice per la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conserva viventi certi tesori del passato e certi presentimenti di avvenire»[6].

Eppure, tutto questo sembra essere messo in discussione da una cultura nella quale, secondo un’acuta analisi del sociologo G. De Rita, avanza la «pura fenomenologia del peggio» rive­lata da alcuni sintomi e, tra gli altri, dalla «proliferazione delle emozioni e ambizioni soggettive senza legami collettivi e senza coesione sociale». Per questo è plausibile formulare l’i­potesi che «sia in funzione nella “gente” un processo di “inversione del processo di simbolizzazione” o, per usare un termine di Melania Klein, una sottile ma profonda “de-sublimazione”. Ogni grande valore (anche quelli su cui abbiamo costruito convivenza e civiltà) si sfarina, scende in basso, perde signifi­cato»[7].

In tale condizione che sembra sospesa in un’impossibile stasi, fuori dello spazio e del tempo, tutto diventa “liquido” e, come il liquido assume la forma del contenitore, anche la sog­gettività collettiva della società, assume una multiforme con­figurazione pronta a sfarinarsi, sparire, riassumere conforma­zione, dileguarsi ancora. Anche la politica è dentro questa “mucillagine” e, bloccata da un’afonia che dura ormai da tempo, non governa l’esistente, semmai tenta di controllarlo. Essa, nell’immaginario collettivo, è percepita strumentalmen­te come mezzo rivolto al raggiungimento di un fine del tutto estraneo alla politica. Per quel che ci riguarda, invece, la spe­ranza, l’attesa, l’utopia, la nostra stessa storia, tutto insomma ci porta a convergere, sebbene la realtà vada in un’altra dire­zione, sulla definizione di P. Scoppola che sentiva la politica, «come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e come sofferenza per l’impossibile, come chiamata ideale dei cittadini a nuovi traguardi, come aspirazione ad un’uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il tormento della storia umana»[8].

Noi del Centro Studi E. Vanoni, rimaniamo affezionati a questo modo che oggi appare “ideale” di fare politica e vorremmo che alla presenza del “progressivo regredire di senso”, individuale e collettivo, avvertito nella presenza di moralità plurime, di una religione compresa e vissuta come emozione, e che esclude perciò la fede, di un minimalismo riduttivistico rimandato alla “crisi di civiltà”, la società[9] avesse la consapevolezza delle dimensioni storiche del problema.

Riemerge, dal profondo della società italiana, una destra senza storia; riemergono i vizi di una società restia alla legalità, insofferente dello Stato, e di uno Stato lontano dalla società. La risposta offerta al declino della convivenza collettiva, è l’amplificazione indotta del senso di paura, effetto dello smarrimento della natura socialis hominum, che attanaglia ciascuno e tutti, percorre il Paese da Nord a Sud, unifica le grandi città ai piccoli comuni. Alla mancanza di connettivo sociale, la destra oppone un’impressività mediatica di uno Stato che è presente se è forte e se è forte può anche separarsi dal diritto. Questa rappresentazione simbolica del neo-conservatorismo di destra, non genera alcun allarme nell’opinione pubblica perché non si richiama all’ideologi a che anzi dichiara “morta”. In questo frangente anche i cattolici misurano tutta la loro impotenza e, perduto il loro “centro” di gravità, considerato permanente, vedono messo in discussione la specificità del ruolo, in quanto “laicato politico organizzato”, poiché la Chiesa ha deciso di pesare nel mondo in quanto Chiesa.

Del resto anche il Partito Democratico appare impotente, messo all’angolo non tanto e non solo dalla pesante sconfitta elettorale subita, quanto dall’incapacità di decidere se diventa­re una struttura definita dalla somma degli addendi, che pure rimangono di per sé diversi, o piuttosto recuperare la capacità di essere orgogliosamente soggetto politico unico e plurale. Un partito siffatto si lascia alle spalle le ideologie determini­stiche del Novecento, ma non può fare a meno dell’”ideolo­gia” come luogo di riconoscimento e diversificazione. Senza l’ideologia non ci sono i partiti né la democrazia dei partiti.

Questa condizione, insieme al convincimento che occorre far maturare una cultura processuale, al posto di quella del reinserramento, perché, come scriveva lucidamente M. Heiddeger, «l’identità non è nel soggetto, ma nella relazione»[10], ci solleci­ta a riannodare i fili di un ragionamento programmatico che riguarda in primis l’Umbria. Per esplicitare la nostra prossimi­tà a questo modo di intendere l’identità all’interno di una “relazione”, aggiungiamo che essa non ignora il momento dell’”attestazione” e nemmeno quello della “narrazione storica” del sé che, in quanto tale, riannoda fili, getta ponti, instaura colle­gamenti. Questo vale anche per l’identità del “sistema Paese” e serve a definire bene cosa deve fare la politica per esso.

Vediamo avanzare, senza che la società ne sia turbata, un nuovo “pragmatismo” che interpreta la delega democratica e la maggioranza parlamentare come investitura personale che, giustificata dalla sollecitudine per il benessere generale, fonda soggettivamente il giudizio di “utilità sociale” tradotto in atti e provvedimenti necessitati dall’emergenza generale in cui versa il Paese. Questo pragmatismo, diventato la cifra della contemporaneità, ci preoccupa perché sappiamo che esiste continuità di soluzione tra il pragmatismo “metodologico” e quello “metafìsico” volto a ridurre la verità ad utilità. Per dirla con A. Scopenhauer: Historia semper eadem sed aliter[11].



[1] T. PADOA-SCHIOPPA, Un uomo adatto a «tempi calamitosi» proprio come quelli dell'Italia di oggi, in "Terza pagina" del "Corriere della Sera", giovedì 14 feb­braio 2008.

[2] L. CIFONI, La grande lezione di Andreatta, in "Cultura & Spettacoli" de "Il Sole 24-Ore", Febbraio 2008, n. 44.

[3] P. SCOPPOLA, La democrazia dei cristiani, Roma-Bari, 2005, p. 207.

[4] B. ANDREATTA, Come superare la crisi dello Stato del benessere: spesa sociale e suo controllo, intervento al Seminario di Roma, 16 aprile 1982, in "Discorsi di un inverno", Roma, Arel, 1982, p. 88.

[5] S. WEIL, L'ènracinement: prelude a une declaration des devoirs envers l'etre humain, Paris 1968 (tr. it., E. FORTINI, La prima radice: preludio aduna dichiara­zione dì doveri verso la creatura umana, Milano 1973, ivi p. 9-11).

[6] Ibidem., p. 161.

[7] G. DE RITA, Contro la fenomenologia del peggio, in "Agorà della Domenica" del quotidiano "Avvenire", 16 marzo 2008, p. 1.

[8] P. SCOPPOLA, Un cattolico a modo suo, Brescia 2008, pp. 47-48.

[9] Quando diciamo "società" diciamo «un complesso di relazioni e di rapporti umani pluridimensionali, essenzialmente consapevoli e intelligibili» (cfr., F. FERRAROTTI, La Sociologia, ERI, Torino 1967, p. 25) che include anche la "società politica" a patto che la politica «non sia identificata né con lo Stato né con qualunque sistema politico amministrativo, ma col perseguimento del bene comune» (cfr., P. DONATI, Società civile, in "Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa", pp. 577-583).

[10] M. HEIDEGGER, Identitàt und Differenz, Stuttgart, Verlag Giinter Neske 1957, (Identità e differenza, in "Aut Aut", 187-188).

[11] A. SCOPENHAUER, Le monde comme volante et camme repré. Supplément au livre II, Chapitre XXXVII.

 

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