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TRENT’ANNI FA, QUANDO UN BAMBINO FINI’ IN FONDO AL POZZO PDF Stampa E-mail

 

TRENT’ANNI FA, QUANDO UN BAMBINO FINI’ IN FONDO AL POZZO


 
di Adriano Marinensi
 

in "Umbria Settegiorni"

08 aprile 2011


 Sono ormai alcuni mesi che le T V nazionali inseguono e spettacolarizzano fatti di cronaca nera che hanno coinvolto adolescenti e bambini : la ragazza di Avetrana, la piccola Yara, le gemelline Alessia e Silvia. Trent’anni fa, per la prima volta, attraverso una diretta televisiva durata 18 ore, gli italiani vissero una struggente tragedia, con immensa commozione. La tragedia del bimbo nel pozzo. Era una T V genuina e partecipe del dramma, diversa dall’attuale, piegata ad una strategia della comunicazione, tutta traguardata agli indici d’ascolto ed a veicolarci dentro i consigli per gli acquisti.
     E’ l’11 giugno 1981, nel tardo pomeriggio, un uomo – si chiama Ferdinando Rampi – sta ultimando i lavori agricoli nel suo piccolo podere, nelle vicinanze di Frascati, in località denominata Vermicino. C’è con lui suo figlio Alfredo, detto Alfredino, un fanciullo di sei anni, minuto di statura e molto ficcanaso. Gioca e corre da molto tempo, in giro per la vigna, poi s’incammina verso casa con il consenso del padre. Strada facendo si ferma a curiosare in un terreno vicino, dove il proprietario ha fatto scavare un pozzo artesiano, molto profondo, alla ricerca di una falda idrica. Forse per guardarci dentro, Alfredino si avvicina troppo e scivola giù a diversi metri di profondità. Quando non lo vedono arrivare a casa danno l’allarme, perché si sta facendo buio. In poco tempo è tutto un accorrere di Carabinieri, Vigili del Fuoco, volontari. Ci sono pure i cani da ricerca. Un cane indugia attorno al pozzo e uno dei soccorritori ode il lamento del bambino. Sta laggiù, dentro lo stretto cunicolo, piange e invoca la mamma che ora è corsa all’imboccatura del pozzo e cerca disperatamente di consolarlo. Iniziano ad organizzare le operazioni di salvataggio, ma ci si rende subito conto della difficoltà : quel cilindro d’argilla, in profondità, è largo appena mezzo metro. La notte viene illuminata a giorno. Occorre innanzitutto immettere aria per far respirare il bambino. Poi, una elettrosonda che consenta di parlare con Alfredino che continua ad invocare sua madre.  Entra in campo la televisione e le immagini giungono nelle case. Provocheranno, volta a volta, sentimenti di trepidante speranza e la tristezza della delusione. Ed un ideale sforzo di collaborazione ai tentativi di salvare la vita di un bimbo imprigionato nell’abisso, che si dispera, commuove, provoca angoscia.
      Occorre introdursi nel pozzo maledetto. Ci vogliono uomini forti e filiformi, che abbiano il coraggio di scendere nel buio, imbragati, a testa in basso. Come il pistone in un cilindro, perché lo spazio è quello che è. Si comincia a scavare una galleria in orizzontale che sfortunatamente incrocerà il pozzo sopra al punto dove si trova Alfredino. L’intervento è in mano ai Vigili del Fuoco guidati dall’ing. Elvenio Pastorelli. Uno di loro, Nando Broglio – narrano le cronache - resterà sdraiato, per un giorno intero, vicino all’imboccatura, raccontando favole, per distrarre il bambino e alleviargli la sofferenza. 
      Intanto si è fatto giorno e il piccolo continua a piangere. Le sue invocazioni sono diffuse dagli strumenti sonori e la gente attorno rabbrividisce, qualcuno fugge via. Arriva persino il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che vive, per ore, a suo modo, la amara vicenda. Ha interrotto le consultazioni, avviate dopo la caduta del Governo Forlani (26 maggio), a seguito dello scandalo della P 2. Già alcuni volontari hanno tentato di scivolare nel pertugio, però senza successo. Ci ha provato anche uno speleologo di nome Angelo, secco come una canna di bambù. E’ stato per più di mezz’ora infilato la sotto, sino a raggiungere Alfredino a 30 metri di profondità. L’aveva afferrato, ma gli è scivolato di mano. L’hanno dovuto riportare in superficie ch’era mezzo morto. La situazione ora si è fatta disperata. L’emotività ha preso il sopravvento sulla ragione. E va producendo proposte d’ogni genere : dal riempire il pozzo d’acqua per far salire a galla il bambino, sino all’utilizzo di una scimmia ammaestrata. Ma, ormai l’ultimo atto è vicino. Ancor più quando si scopre che Alfredino è scivolato molto più in basso. Non s’ode più la sua voce. Sul campo, comincia ad aleggiare la paura della tragedia, il sentimento amaro dell’impotenza e del fallimento. Il fallimento lo annunciano i giornali del 14 giugno. La Repubblica scrive : “E’ finita. La lotta di Alfredino per vincere il freddo e il buio del pozzo è cessata ieri all’alba. E, con la sua lotta, sono finiti il silenzio carico di tensione, la solidarietà, lo sforzo dei soccorritori, il rumore delle inutili trivelle, le favole raccontate a lui, su Mazinga che doveva arrivare da un momento all’altro, lo slancio dei volontari che avevano tentato vanamente di strapparlo alla morte”. Il bollettino ufficiale della sconfitta lo redige il medico di Alfredino che certifica la “morte presunta”.
     Il corpo rimarrà li sotto per 31 giorni, sin quando lo recuperano, al termine di una operazione di estrema difficoltà, che costringerà i minatori a superare persino un enorme blocco di ghiaccio, formatosi per il solidificarsi dell’ azoto liquido immesso nel pozzo. Lo trovano a 60 metri, piegato su se stesso, la mano destra incastrata dietro la nuca. Un altro dramma riferirono le cronache di quei giorni : “Il 12 giugno, mentre la vicenda di Alfredino si consumava, Antonino e Salvatore Liotta, due fratellini di Siracusa, di 9 e 7 anni, sono annegati cadendo anche loro in un pozzo profondo 20 metri. La lamiera che fungeva da copertura, corrosa dalla ruggine, ha ceduto, facendoli precipitare sul fondo. Quando i Vigili del Fuoco li hanno recuperati, erano già morti”. Da allora, chissà quanti altri Alfredino, Antonino e Salvatore hanno concluso, in maniera assurda e pure violenta la loro vita breve. Perché, la strage degli innocenti non è finita con Erode.

 

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