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 QUANDO IL “DEFICIT DI DEMOCRAZIA”

 

INDIGNA SOPRATTUTTO I GIOVANI

 

di  Adriano Marinensi

 

in “Umbria Settegiorni”

21 ottobre 2011

Scrivere della protesta dei giovani, minimizzando i fatti di Roma, sarebbe mistificare la realtà. A Roma, la cronaca per immagini ha mostrato il volto masnadiero di un teppismo barricadiero che avevamo dimenticato. Una manifestazione teoricamente pacifica ha assunto gli effetti devastanti di una sommossa. Ora, seppure senza prescindere da quanto è accaduto a Roma, resta la domanda : i giovani che dimostrano in piazza il proprio malcontento, hanno torto oppure ragione ? Certo, il quesito riguarda la parte largamente maggioritaria che reclama i propri diritti in modo rumoroso e civile, vigoroso e democratico. Rifuggendo da altre forme appartenenti alla criminalità più o meno organizzata.
C’è un presupposto che avvia il ragionamento : in un tempo di straordinaria involuzione economica, che si ripercuote su ogni area sociale, con prevalenza sui ceti più deboli, con un Governo, quello italiano, entrato in un marasma allarmante, chi rischia – come al solito – di pagare un tributo altissimo sono i giovani. Nel nostro Paese, il tasso di disoccupazione giovanile, arrivato a livelli di inciviltà, testimonia un disagio ormai ben oltre la soglia della tolleranza. In Umbria, addirittura, la percentuale delle donne, in larga parte giovani, che non lavorano, sfiora il 50%. Vale a dire, quella che enfaticamente viene chiamata “la realizzazione sociale al femminile” ha fatto segnare un allarmante regresso. Un patrimonio intellettuale ed umano sta svalutandosi e la negatività diffonde i semi della protesta e della ribellione. “Le economie più dinamiche – è il recente parere della Presidente Catiuscia Marini – sono quelle che investono di più sui giovani e sulle donne”.  A significare che, in Umbria e in Italia, siamo largamente in debito verso queste due strategiche componenti sociali.
Scrive il prof. Franco Ferrarotti, sociologo di profonda cultura, “oggi si calcola che, in Italia, un giovane su tre sia senza lavoro” Addirittura, “un numero crescente di giovani rinuncia a cercare lavoro (…) vive e sopravvive alla giornata”. Non è questa la sua personale opinione, ma la deduzione scaturita da una puntuale indagine pubblicata nel recente saggio di ricerca “La strage degli innocenti” che ha un sottotitolo emblematico : “Note sul genocidio di una generazione”. A testimonianza che “il progresso tecnico non garantisce nulla circa il progresso civile”.
La strabica attenzione rivolta alla “questione giovanile” – in prima istanza l’occupazione – dai nostri attuali governanti, richiama la miopia di quasi mezzo secolo fa. Era il 1968, l’anno della grande contestazione; l’anno dei moti di Parigi (il maggio francese) e della fantasia al potere. I Campi Elisi diventarono terreno e simbolo del risveglio in Europa, che segnò un punto di svolta nel modo di essere soggetti di partecipazione dei giovani. Ma, successivamente (eccolo, allora come oggi, il pericolo) fu anche fattore di degenerazioni antidemocratiche ed antistoriche. Sin qui, il breve quanto necessario richiamo al secolo andato. Per mettere in cornice gli avvenimenti presenti che narrano di una energica offensiva dei giovani contro gli effetti della crisi e gli emblematici protagonisti di essa. Si sono indignati perché non vogliono pagare loro le colpe di altri (i potentati finanziari) che hanno chiesto e già ottenuto soccorso e indulgenza per i gravi  peccati commessi. Le colpe della grande finanza che ha deriso il mondo produttivo, il solo capace di creare occupazione e distribuire risorse, mentre quella finanza lì sa fare solo speculazioni parassitarie. Non vogliono essere, i giovani, gli eredi coatti di una “famiglia” indebitata sino al collo, anzi, strangolata dal debito (pubblico). Quelli che ancora sono studenti, vorrebbero un bilancio dello Stato che destinasse all’istruzione una percentuale del PIL tale da inserire il nostro Paese verso l’alta classifica mondiale e non al 29° posto dov’è relegato. Pretendono sia restituito loro un percorso ed una qualità della vita, ancorati sulla realtà e non sugli ottimismi di un certo politichese, che, da anni, presenta scatole vuote con sopra scritto riforma della scuola e del mercato del lavoro.
In Italia – sostengono – la situazione si presenta più grave che altrove a causa della inettitudine di un Governo, distratto dai problemi reali e attento invece alle “faccende” (ed ai faccendieri) del suo Capo, icona palese del soggettivismo egoista. Molti di quei giovani – almeno la parte sana e prevalente – hanno ragione : sono angosciati da una prospettiva deserta. E il timore per l’avvenire, quando diventa paura, genera ribellione, dopo aver cancellata la fiducia nelle Istituzioni e azzerato il sentimento della solidarietà sociale che è uno dei collanti di ogni vera democrazia. Falsa invece è la democrazia che baratta i valori civili e i diritti costituzionali di tanti con il benessere economico di pochi. E tra quei valori e diritti c’è pure l’aspirazione dei giovani ad un dignitoso posto di lavoro, viatico non marginale per un loro impegno nella collettività. Invece – sostiene il prof. Ferrarotti – “i giovani (italiani) di oggi, per una percentuale altissima, sono bloccati, emarginati, condannati a lavori precari, politicamente esclusi dalla gerontocrazia imperante, costretti ad uno stato di soggezione permanente”. E allora finiscono in piazza a rimbeccare energicamente, in modo particolare, la classe politica  al potere, la quale, più che a governare mira a durare, in qualche caso, a conservare difese immunitarie verso l’amministrazione della giustizia. Classe politica guidata da un leader che, in Parlamento, nella penosa occasione della 51^ fiducia chiesta alla sua squinternata coalizione, poco o nulla ha saputo dire ai giovani, scarso interesse ha mostrato verso i loro problemi, forse perché nessuno lo ha informato di quanto sta avvenendo fuori del Palazzo (e dei sontuosi parchi delle sue ville). Allora viene naturale gridare “forza giovani”. Evviva la nuova contestazione giovanile. S’intende – giova ripeterlo, a scanso di equivoci - quella al netto delle frange violente, dei centri sociali, dei sovversivi balordi e di mestiere; i quali non vanno soltanto isolati, riprovati, ma arrestati e condannati, con rigore e senza attenuante alcuna, a norma di codice penale. Le loro gesta brigantesche servono soltanto a consentire ai “gattopardi” di restare arbitri di una situazione inalterata. Che ci sta portando verso il precipizio e la bancarotta.

Adriano Marinensi

 

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