mezzo secolo di vita vissuta Stampa

Il libro “Mezzo secolo di vita vissuta”-che Filippo Micheli scrisse all’inizio degli anni ’90- raccoglie memorie di eventi nazionali e locali ed è la sintesi di un percorso, il suo, interamente dedicato alla politica con spirito di servizio ed impegno civile. Un modo di operare, quello di Filippo Micheli, che ha sempre cercato la missione nella società, guidato dai principi della sua profonda fede cristiana. Vi si ritrovano fatti e personaggi raccontati cronologicamente con la penna di chi li visse e li conobbe. E’ un volume di notevole interesse storico, articolato per epoche ed avvenimenti che vanno dal fascismo alla fine del secolo che ci è alle spalle. Ci sono annotate, tra l’altro, con riferimento all’Umbria, “le prime esperienze in tempi lontani”, insieme al difficile periodo della guerra e della ricostruzione, il ritorno alla democrazia, la vita politica dopo il 1948, la vicenda del Piano regionale di sviluppo, gli effetti della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Un interessante capitolo è dedicato ai risultati elettorali nazionali del 18 aprile 1948 sino alla XII Legislatura. Oltre alla sintesi dei Governi succedutesi in Italia dal 1944 al 1994 e dei primi 20 Congressi della Democrazia Cristiana.
Il principale elemento identitario di Filippo Micheli è stata la popolarità. Che, ad ogni consultazione elettorale, si misurava in migliaia di voti di preferenza (addirittura 60.273, nel 1972), proprio in un Collegio -Umbria e Sabina- dove la Democrazia Cristiana non aveva influenti posizioni di potere. Ma, lui era sempre tra la gente e la gente vedeva in lui un politico aperto e disponibile, difensore rigoroso dei diritti dei singoli e della collettività. Scrive nel suo “Mezzo secolo di vita vissuta”: «La porta è un emblematico simbolo evangelico: la porta stretta, quella che presuppone, al di là di essa, mete difficili, ma gratificanti se si raggiungono con sacrificio e rinunce. Ne ho varcate tante di porte, in tanti anni (…). La porta del Vescovado che, per i cattolici,rappresenta un preciso punto di riferimento. Ho attraversatole porte le porte delle Canoniche per il contatto dei Sacerdoti e le Comunità religiose (…). E poi la porta del Partito, della rinata Democrazia Cristiana (…).  E la porta di Largo Cavalleggeri, a Roma, sede centrale della Gioventù Cattolica. Erano in tanti gli Amici che vi operavano (…) e in tanti ci ritrovammo oltre il portone di Montecitorio. Altre porte si sono aperte e le ho varcate : porte di lavoratori, di artigiani, di contadini; cancelli di stabilimenti (…) in particolare a Terni, dove la fabbrica era lavoro e tranquillità. L’ ho fatto insieme a colleghi di Partiti diversi,di diverse opinioni politiche, con l’ intento comune di essere utili a tanti concittadini con i quali ci sentivamo solidali».
Perché, Filippo Micheli il suo operare quotidiano o concepiva così, fuori degli schemi protocollari, privilegiava il contatto umano, il dialogo, l’ascolto, preferiva l’azione e la concretezza dei risultati. Per questo fu ujhn “protagonista di allora”.

 

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